Le montagne erano a poche miglia eppure apparivano lontane, come presenze antichissime che vegliavano sugli uomini.
Sciacquato il viso e cercando di rianimarsi con parsimonia di gesti scese nella sala comune della locanda dove il dottore lo attendeva. Assicuratosi che il domenicano non fosse a portata di orecchi gli diede le informazioni per arrivare ad un borgo chiamato Cimolais, gli disse che Rosa capiva e parlava il Veneto e che quindi avrebbe potuto ascoltarlo.
Raggiunse presto Maniago e da lì le prime montagne che come sentinelle delle alpi sembravano osservarlo ad ogni passo. La primavera qui era un debole richiamo in mezzo ad un inverno tenace. Le vie solitarie lasciavano vagare lo sguardo verso le cime ricoperte di neve e un torrente blu suo unico compagno di viaggio. Il silenzio era più denso e l’aria che soffiava nella valle lo cullava lasciandolo in contemplazione dei monti.
Cimolais era un piccolo borgo dai comignoli che sprigionavano profumo di alberi mentre attorno le montagne erano forti e austere.
Fu facile trovare Rosa che lo accolse in una vecchia casa di pietra e legno, riscaldata da un focolare che ne attenuava la durezza.
“Cavaliere, la tua ombra ti sta seguendo. Per sfuggirla forse tu cerchi un drago in un paese lontanissimo ma dimentichi che il Drago è ovunque ed è in ogni cosa. Non scorgevi le sue squame nella corteccia degli alberi che hai visto mentre camminavi fin qui? Il suo ruggire si sente nel vento, anche in quello che soffia in queste valli. E la sua lingua forcuta è come il fulmine.”
Rosa era una donna minuta ma come le sue montagne emanava una grande forza. Disse di seguirlo e in silenzio lo condusse fuori dal paese, dove iniziava un sentiero che camminava lungo una valle selvaggia. I boschi di faggi e pini mughi, il torrente impetuoso di neve che si scioglieva, le pareti di roccia, i colori del cielo e della pietra parlavano una lingua che Rosa intendeva e camminando bastava respirare per sentire che i pensieri svanivano.
Lo fece sedere su un rialzo del terreno, forse un masso, ricoperto di erba su cui spuntava un faggio. Mentre Rosa continuava a mormorare dei suoni senza parole si addormentò addosso all’albero.
Al risveglio era solo e nell’incertezza dei primi sguardi si accorse di una figura come disegnata sulle foglie vicino ai suoi piedi, un viso non di uomo che lo osservava. Era forse un’immagine rubata al mondo dei sogni? La mente non trovava risposte ma la sensazione di meraviglia riconosceva un segno.
Rosa riapparve e in silenzio, così come erano venuti, lo ricondusse alla sua casa. Gli diede da bere un decotto di erbe che aveva raccolto nella valle la scorsa estate.
“Non sono le erbe a guarirti ma la fede e non quella cieca ma quella che ti fa mettere in cammino quando ti senti smarrito.”
Le braci rosse dipingevano la stanza di luci che si mescolavano alle sensazioni della giornata, una quieta meraviglia che scioglieva ogni tensione. Sotto le coperte osservava il focolare che languidamente si spegneva e ascoltava il vento e immaginava il cielo. Le resistenze cadevano e domani sembrava solo una parola. Sarebbe sceso nella pianura e avrebbe ripreso il cammino verso Oriente, avrebbe camminato ed incontrato, forse sarebbe tornato qui dopo molti anni, scoprendo che veramente il drago era ovunque. Questo non lo poteva sapere. La via era riemersa ma era sempre stata lì, come i fiumi che scendevano da quelle montagne e che si infilavano nella roccia e nella ghiaia per affiorare un poco più in là.