Incuriosisce il fatto che il concetto di Ombra e l’indagine dell’inconscio sviluppata da Carl Gustav Jung compaia in un momento particolarmente “tenebroso” dell’Occidente. La prima guerra mondiale aveva minato profondamente il credo illuminista di un progresso senza limiti in cui la tecnica e la scienza avrebbero trasformato il mondo in un meccanismo sempre più preciso di cui l’essere umano diventava il padrone. Le atrocità delle trincee, dei gas nervini, dei genocidi avevano reso evidente che esisteva una profonda zona d’ombra nella cultura europea. L’illusione della razionalità totale dell’essere umano era crollato. Era innegabile che in ogni essere umano, aristocratico, operaio, filosofo o contadino che fosse esisteva un lato “bestiale” capace di distruggere, di annientare e di cadere vittima degli istinti che si credevano possibili solo nei “selvaggi” delle allora colonie africane o sudamericane.
La grande crisi che attraversava l’Europa e il Nord America costringeva ad un esame di coscienza, che dura tutt’ora. Gli avvenimenti traumatici, nell’individuo o nel sociale, ci pongono sempre davanti alla verità, ci dicono che non è più possibile illuderci. Ognuno di noi ama pensare di essere buono o giusto, se esistono problemi questi sono dovuti all’azione degli altri, questo finché i fatti non assumono proporzioni tali da costringerci ad una scrupolosa indagine.
In un clima di questo tipo la nascente psicologia cominciava ad investigare la malattia e il disagio dell’uomo moderno, scalfendo la placca di oro del suo credersi razionale, scopriva un mondo vastissimo, senza confini, dove ogni cosa era possibile. Quello che era stato negato dall’Illuminismo e rifiutato come barbaro si riaffacciava prepotentemente.
Jung ebbe il merito e il coraggio di studiare trattati di alchimia, di interrogare sciamani, di analizzare le dottrine spirituali dell’Oriente, quel mondo che sembrava superstizione agli occhi dei “civilizzati” Europei, per aiutare l’individuo moderno a conoscersi meglio e quindi guarire. L’inconscio infatti ci riporta a contatto con le tradizioni contadine del Medioevo, con la magia e la stregoneria, ci rende umili e ci fa comprendere che in cielo e in terra ci sono molte più cose di quanti ne immagini la nostra scienza, per citare Shakespeare.
I frammenti del passato ritornavano così alla luce e la medicina cominciava ad interrogarsi su aspetti che i guaritori di un tempo tenevano in massima considerazione come i sogni. La psicoanalisi in genere fa dell’interpretazione dei sogni uno strumento cardine, Jung, discepolo di Sigmund Freud, ne comprendeva il forte contenuto simbolico e lo legò alla sua analisi sui simboli universali.
“…è pura follia metterli in disparte solo per il fatto che, da un punto di vista razionale, essi sembrano assurdi o irrilevanti” diceva Jung riguardo ai simboli, che non erano intesi come semplici immagini, come ad esempio succede di pensare di fronte alla vetrata gotica di una cattedrale. Se subentra un’emozione l’immagine acquisisce un carattere numinoso, un’energia psichica che produce delle conseguenze. La vetrata gotica dell’esempio scatenava delle reazioni nell’animo del fedele durante il Medioevo. L’assurdo e l’irrilevante iniziano così a bussare alle porte della logica scientifica da cui prende le mosse la psicologia, costringono lo scienziato, il medico, lo psichiatra a indagare un mondo che si era voluto occultare, perché la concretezza del carbone e dell’acciaio sembravano rendere gli esseri umani onnipotenti.