La via era smarrita. In mezzo alle piogge di aprile non esisteva che il suono del vento e dell’acqua che scendeva dal cielo, in lontananza colline e dietro montagne che portavano al nord, ma questi suoni erano quasi una forma di silenzio.
Si era abituato a questa condizione, all’inizio era stata dura, per quanto avvertito del tempo instabile e degli umori delle genti, i passi in quella terra erano densi di ostacoli, molto spesso invisibili. Era una terra bella, mai monotona, ma soffriva di qualcosa di sottile che spesso si affacciava nei suoi sogni la notte. E come in una forma di incantesimo i suoi passi si erano fatti lenti fino a quasi a dare la sensazione di trovarsi in una palude che tratteneva le sue spinte e la sua voglia di procedere verso est. Sotto il tetto di una casa in rovina, con il fiato che sprigionava un vapore che cercava di agguantare la foresta di faggi, la mente scivolava lontana.
Superato il Livenza aveva cominciato ad avvertire come una sottile indolenza e per lui, ansioso e sempre rivolto al passo successivo o quello da fare nelle settimane a venire, era stata una benedizione. Non mancandogli il denaro alloggiava in ristori puliti e dalla buona cucina, che diventava sempre più spartana man mano che lasciava la zona dove si parlava la sua lingua. Il vino si faceva più scuro e corposo, come gli occhi dei popolani che incontrava nelle strade. Accoglieva tutto di buon grado, era in viaggio e già questo bastava a riempirlo di una sensazione di gioia terrena che mancava completamente nei suoi studi.