La luce è la mano sinistra delle tenebre,
E le tenebre la mano destra della luce.
Due sono uno, vita e morte, e giacciono
insieme come amanti in kemmer,
come mani giunte,
come la meta e la via.
Recensire un libro o forse solo accennarlo, con pochi tratti, per mantenere viva la memoria dei capolavori che ancora ci parlano.
La mano sinistra delle tenebre di Ursula Le Guin è un romanzo di fantascienza ma queste parole sono troppo limitanti per descrivere un libro che va oltre l’esplorazione di pianeti lontani, di tecnologie e di futuro.
Il primo libro che ho letto con passione è stato un romanzo di fantascienza, Terra di Stefano Benni in cui il futuro, lo spazio, le invenzioni erano il pretesto per parlare del presente e per espandere i limiti della scrittura. Da allora è rimasto vivo il desiderio di meravigliarmi con narrazioni dell’immaginario.
Di fronte al libro della Le Guin non cercavo solo l’evasione che la descrizione di un mondo lontano mi permetteva ma la profondità dell’immaginazione dell’autrice, la capacità di creare ex novo un mondo inesistente, dotarlo di storia, costumi, cibi, tradizioni e miti. Alcuni romanzi di fantascienza sono ammirevoli nel trasmettere tematiche profonde e spesso di critica del presente “terrestre” però rimangono in superficie, qui ci troviamo di fronte ad una narrazione realistica. Il pianeta Gethen, immerso in un periodo di glaciazione, è reale. Il resoconto del principale io narrante, il terrestre Genry Ai, è quello di un inviato da un mondo conosciuto che cerca di spiegarci le singolarità di un pianeta alieno. I protagonisti hanno uno spessore, gettano un’ombra, il loro modo di vedere il mondo non è solo diverso, sembra essere la rappresentazione degna di un antropologo o di un poeta che sa scendere dentro se stesso e quindi anche dentro gli altri.
Complici le vacanze natalizie sfruttavo ogni momento libero per dissetarmi da questo libro, per comprendere cosa si celava poco più avanti e per cogliere le sfumature di una prosa in cui il fantastico parla della condizione umana, della sua dualità e della voglia di trascendere gli opposti. Ursula Le Guin parla di ecologia, di emozioni, di umanità attingendo alla tradizione dell’Oriente, a quel simbolo del Tao in cui due pesci, uno bianco e uno nero, si inseguono, dove nel bianco esiste una macchia di nero e nel nero una di bianco, che è la condizione della nostra esistenza, dove luce e ombra giacciono insieme come amanti, dove l’alieno e l’umano sono opposti che in fine si congiungono nella capacità di superare i propri limiti.